The Great Rock’N’Roll Sinners, dall’11/11/2005 al 10/03/2006
Prendi lo stereotipo più stereotipo del rock, cioè quello che sia la musica del diavolo; prendi i sette peccati capitali (sono come i sette nani: ne elenchi cinque, poi nel finale cominci ad avere qualche difficoltà. Generalmente pochi ricordano Gongolo e Mammolo, così come i vizi capitali meno immediati sono accidia e avarizia); associa a ogni peccato un grande nome della storia del rock e il gioco è fatto.
Il pieghevole della rassegna The Great Rock’N’Roll Sinners è già di per sé peccaminoso. Bianco e nero, squarciato da titoli e motivi grafici rossi fiammanti. In copertina, Jimmy Page non plus ultra. Lo apri e… Mmm… Tutti quei nomi… Tutti assieme… Che pregio. Quando leggo per la prima volta il nome dell’Associazione che organizza le conferenze, ho un brivido. Magic Bus. Shame, shame, shame on me, che ho conosciuto quest’Associazione solo ora, perdendomi eventi spettacolari dello scorso anno (tra cui un trittico di serate sul blues e un omaggio a Jerry Garcia).
Questo ciclo è a cura di Maurizio Principato (quando leggo il nome penso: «Che cognome glam!»), che è musicologo, giornalista e lavora in radio. A lui, conduttore di ogni incontro, si affiancheranno, nella maggior parte dei casi, esperti degli artisti presi in esame nel corso dei sette venerdì.
L’11 novembre si va a San Giovanni in Croce. Teatro. In prima fila: Cudiel, Ranca, Jonny e io. Qualche fila dietro, Sara Signo, l’Avvocato e Flora. Cudiel è in abito elegante, io gli presto il giubbotto verde militare per immortalarlo con l’aspetto di un vero mod. Sì, perché stasera si parla del gruppo che, volente o nolente, è stato eletto a portabandiera del movimento modernista inglese degli anni ’60: The Who. Con Maurizio Principato c’è Roberto Caselli, che in effetti non è un superesperto degli Who (un paio di cose, nel racconto della storia del gruppo, le sbaglia), ma è comunque un rocker coi controfiocchi (e in particolare sugli anni ’60 ha pubblicato libri sui Beatles e sugli Stones). Il mio giudizio è positivo anche per l’accorato discorso finale, in cui spiega perché è ovvio che «bisogna stare dalla parte del rock». Maurizio Principato partecipa a questa cronistoria con qualche intervento aneddotico e con qualche domanda per il relatore della serata. Emergono già i tratti che lo renderanno il mio idolo personale per i mesi a venire: il carattere istrionico e il senso dell’umorismo; il timbro di voce caldissimo (non per niente lavora in radio); i tempi perfetti degli interventi; i capelli tipo Frank Zappa del periodo arruffato (che purtroppo saranno tagliati a partire dall’incontro successivo).
In questa prima serata abbiamo anche modo di capire il taglio di base che verrà dato anche agli altri appuntamenti: al racconto cronologico della storia della band in questione si alternano contributi audiovisivi. Quando si può, si punta sui video delle esibizioni live d’epoca; in caso di scarsità di materiale, si ripiega su videoclip o su interviste significative. Nel caso degli Who, le testimonianze dei concerti non mancano, e del resto la dimensione del concerto è quella che più rende giustizia al gruppo di Pete Townshend, gruppo famoso – tra le altre cose – per essere stato il primo a fare della distruzione degli strumenti sul palco un punto di forza delle proprie esibizioni (e infatti il peccato capitale che dà il titolo all’incontro è l’ira). All’uscita dal teatro, mi rendo conto che ’sta rassegna prende una bella piega. Fotografia di gruppo con gli amici (diventerà un must delle sei conferenze successive).
Due settimane dopo, il 25 novembre, la sede dell’incontro è la Sala Civica di Piadena (che fa un po’ da campo base, nel senso che ospita quattro delle sette serate). Questo venerdì si parla di Neil Young (associato al peccato dell’accidia); chiamato a raccontarne la carriera è Marco Grompi, studioso del rock e musicista. Fin dal primo momento è chiaro che abbiamo a che fare con un vero e proprio maniaco di Young (al di là del fatto di averci scritto un libro, si percepisce nitidamente la passione per l’artista). La carriera di Neil Young è lunghissima, copre quarant’anni di storia del rock, per cui la sintesi non è facile. Eppure Grompi riesce a ritagliare uno spazio anche per le cose meno note e per le curiosità. Ottima serata, nella quale vengono proposti molti frammenti video da live suggestivi, con la ciliegina sulla torta data dallo stesso Grompi, che esegue dal vivo, lì in sala, un paio di pezzi. Voce e chitarra acustica a metà serata, più una chicca finale con voce, chitarra e armonica a bocca. Tutto molto bello.
Questo incontro avrebbe meritato senz’altro più presenze: c’è invece poca gente, e della nostra cricca siamo solo Cudiel, Pika e io. La fotografia la si fa anche con Maurizio e Marco. Bella lì.
Venerdì 16 dicembre sarà, a conti fatti, la serata più memorabile delle sette. Io mi sento uno straccio, ma non rinuncio alla macchinata (con Cudiel, Ranca, Sara Signo e l’Avvocato) in direzione Torre de’ Picenardi. La Villa Sommi Picenardi è uno dei posti più rock’n’roll del pianeta. Castello con ponte levatoio e fossato (probabilmente c’erano dentro dei coccodrilli, anche se non ne ho visti). In fondo al cortile interno, una villa antica e decadente, candelabri, specchi enormi ovunque, muri decorati e soffitti altissimi. In una delle sale più sfarzose è allestito il maxischermo per la serata, ma anche la strumentazione per un concerto elettrico. Wow! Special guest della serata è infatti un supergruppo formato da due componenti degli Acrimonia (cover band rock casalasca che già avevamo avuto modo di apprezzare in tre occasioni) e da due elementi dei Midnite Sun. Prima che cominci la conferenza, Stefano Savazzi (cantante e chitarrista degli Acrimonia) ci racconta che l’ultima volta che si è suonato dentro la villa c’era stato qualche problema, perché dei pezzi di intonaco erano caduti dai muri. Spettacolo. Comunque, la band, nata apposta per questa occasione, suonerà alcuni brani di «un gruppo minore» (così Maurizio Principato li aveva ironicamente definiti), i Led Zeppelin, oggetto di questo terzo appuntamento. Purtroppo si registra la defezione del relatore previsto per l’incontro, ossia il musicologo Maurizio De Paola, bloccato da una polmonite. Questa spiacevole occorrenza ha però due immediati risvolti positivi: il primo ce lo riferisce Maurizio Principato, ed è che De Paola, dispiaciuto per la propria assenza, ha dato la sua disponibilità per una futura collaborazione con Magic Bus per un ciclo di conferenze sull’hard rock e l’heavy metal (partono gli applausi dei tanti presenti); il secondo è che lo stesso Principato si cala nelle vesti di relatore. E così basta guardare per un attimo lo sguardo di Maurizio per capire che anche stasera la storia del gruppo la racconta uno che quel gruppo ce l’ha nel sangue. La narrazione principatiana è piacevolissima anche per chi conosce il testo sul quale essa si basa, cioè la biografia del gruppo uscita recentemente. Geniale la scelta di raccontare il celeberrimo episodio dello squalo. I contributi video provengono tutti dal mastodontico cofanetto intitolato semplicemente DVD. I ragazzi che suonano dal vivo eseguono (benissimo) Immigrant Song e Stairway To Heaven. Tutto da applausi.
Alla fine, mentre la gente defluisce dalla sala, chiediamo a Maurizio Principato perché il peccato associato ai Led Zeppelin sia l’invidia. La risposta è scontata. L’invidia non caratterizza i Led Zeppelin; l’invidia la proviamo noi nei confronti dei Led Zeppelin. Vero, io vorrei essere Robert Plant. Anzi, a ben vedere, forse avrei voluto essere John Bonham.
Primo appuntamento del 2006, venerdì 13 (aaargh!) gennaio, a Piadena. L’artista oggetto dell’incontro è David Bowie, e questa volta l’accoppiata col peccato capitale funziona benissimo: la superbia. A parlarcene è chiamata un’autorità in materia: Laura Gerevasi, che si è laureata in Musicologia con una tesi su Bowie e ha scritto un libro che prende in esame le sue canzoni. L’analisi è approfondita e viene concesso molto spazio al periodo Ziggy Stardust (per la gioia degli amanti del glam rock come me). Il racconto di Laura è “disturbato” dagli interventi beffardi di Maurizio, che decide di stuzzicarla sin dall’inizio della serata e, come si suol dire, non le lascia passare nulla. I siparietti che ne nascono sono divertentissimi.
Per la prima volta, i video che vengono scelti sono in gran parte videoclip promozionali e non spezzoni da concerti. In effetti, in Bowie l’immagine (intesa anche come estetica dei videoclip) gioca un ruolo fondamentale. Buona cornice di pubblico (Sala Civica quasi piena) e ottima presenza from Cremona: Cudiel, Pika, Jonny, Landrew, John Felice DiLuglio, Sara Signo, Flora, Dani, io e amici degli amici (dai nomi a me ignoti).
Venerdì 27 gennaio, a Ostiano, dovrebbe esserci la quinta conferenza, attesissima, ma giovedì ha nevicato in modo assurdo. Telefono a Magic Bus e la mia speranza trova conferma. Appuntamento rinviato a data da destinarsi.
Il 10 febbraio (Piadena) è la volta di vivisezionare la carriera di Frank Zappa. Anche in questo caso il binomio artista-peccato capitale non fa una grinza: Frank Zappa è la lussuria. Come da programma, Maurizio Principato fa da appassionato relatore. Il racconto parte dagli anni ’60 (The Mothers Of Invention) e si snoda per un percorso artistico davvero unico, concluso solo dalla morte (avvenuta nel 1993). I video sono tratti da concerti, ma anche da bizzarre sequenze, con personaggi di plastilina animati in stop motion, commentate dalla musica (apparentemente) delirante di Zappa.
Maurizio ci fa ascoltare anche un raro frammento audio, il brevissimo brano The Big Squeeze, che, nel suo essere abbastanza orribile e inascoltabile (43 secondi di suoni sintetizzati, colpi di tosse e grugniti da maiale), è già un cult tra di noi. Anche per questo incontro, la presenza del nostro gruppo è folta (Cudiel, Ranca, Pika, Prof. Anteguerra, Jonny, Dado, Mostrillo, io e Daniele, universitario fuori sede a Cremona, che conosciamo in questa occasione pur avendolo intravisto anche alla conferenza sui Led Zeppelin).
Venerdì 24 febbraio, per l’ultima volta alla Sala Civica di Piadena, si approfondisce il fenomeno delle Jam Band USA, cioè quei gruppi le cui canzoni, di durata normale su disco, diventavano nei concerti delle interminabili session improvvisate. Questa pratica, utilizzata nel passato da gruppi come Grateful Dead e The Allman Brothers Band, ha trovato negli anni ’90 eredi come Phish e Dave Matthews Band. Del racconto di questi concerti di durata oceanica, spesso spalmati in happening di giorni e giorni, si fa carico Alessandro Zanoni, Presidente di Magic Bus (sempre presente alle conferenze, come introduttore della serata ma anche come responsabile del supporto tecnico) e rigoroso conoscitore dell’argomento (oltre che appassionato, come dimostrano le sue molteplici presenze a festival statunitensi di questo tipo). Molto spazio è dedicato ai video e molti nomi sono a noi ignoti. Senz’altro l’argomento che conoscevo di meno: di conseguenza è questo l’incontro da cui siamo usciti più arricchiti (credo di poter parlare anche a nome di Cudiel e Jonny, che erano con me).
Giustamente, la serata sulle Jam Band non può che chiudersi con un’oceanica improvvisazione. Facciamo la conoscenza di Fabio Guerreschi, che scrive su La Provincia ma si occupa di tante altre cose, e accettiamo l’invito per una birretta tranquilla. Si va con lui in un pub di Piadena (ci sono anche Maurizio, Alessandro e Laura Gerevasi, ma se ne stanno per conto proprio) e si inizia a chiacchierare di rock (Fabio è un heavy metal da paura) e altro. Intanto le birre diventano due, poi tre… Insomma, finisce tutto in un delirio alcolico, a un orario improponibile, in un locale di Torre de’ Picenardi, a parlare di politica, di calcio e a capire se alla fine Bananas dei Deep Purple spacca o no. Bevuto un sacco e speso zero (grazie Fabio, grazie Cudiel). Peccati di gola (il vizio capitale che connotava la serata).
Chiusura in bellezza: il 10 marzo si recupera l’appuntamento saltato a causa della neve il 27 gennaio. Al Teatro Gonzaga di Ostiano (situato all’interno del bellissimo castello) si parla dei Pink Floyd, in compagnia di un altro esperto e appassionato: Alessandro Bratus, laureato in Musicologia con una tesi sui Pink Floyd e autore di un libro sul leggendario gruppo londinese (nonché musicista egli stesso). Il Prof. Anteguerra e io indossiamo La Divisa (una polo nera su cui abbiamo fatto stampare un logo enorme con i martelli incrociati di The Wall). La disamina a cura di Bratus è attenta e condita da alcuni aneddoti da parte di Maurizio Principato; purtroppo (e paradossalmente) il materiale video sui concerti dei Pink Floyd scarseggia, vengono quindi proiettati perlopiù spezzoni da concerti solisti di Roger Waters e di David Gilmour, oltre che dal film Pink Floyd – The Wall. Il peccato capitale a cui il gruppo è abbinato è l’avarizia, intesa come scarsità di virtuosismi tecnici (rispetto a musicisti contemporanei ai Pink Floyd). Una musica più semplice, a livello compositivo, ma il cui risultato, in termini di impatto musicale ed emotivo, non ha probabilmente eguali nella storia del rock. La risposta di pubblico per quest’ultimo incontro è ottima: i posti a sedere sono riempiti sia in platea che nei palchi. Grande serata, emozionante, non solo per le splendide canzoni dei Pink Floyd, ma anche perché mi dispiace che il ciclo finisca. La presenza di Cremona (e di Cremonapalloza) è nutritissima. Nella fotografia finale ci siamo Cudiel, Jonny, Pika, l’Avvocato, Flora, Gilmour, John Felice DiLuglio, Landrew, Steven, Gio Vox, Sara Signo, Ranca, Prof. Anteguerra e io, con Alessandro Bratus, Laura Gerevasi, Alessandro Zanoni e il Supremo Maurizio Principato con il suo meraviglioso chiodo.
Ora è ufficiale: Cudiel e io siamo riusciti a fare l’en plein (sette serate su sette). Non bastasse, torno a casa con due succulenti cd, farciti di album di progressive rock italiano, che Fabio Guerreschi ha assemblato e di cui mi ha gentilmente fatto dono.
Voglio il ciclo di conferenze sull’hard rock e l’heavy metal!
Grazie a tutti!
Rock’n’roll!
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