Io, Fulvia, Costantino e gli altri

Italia, settimana televisiva dal 28 febbraio al 6 marzo 2005

Quando credi di aver smesso, quando pensi di esserne uscito, di avere spurgato il virus spazzaturaio della televisione italiana ormai ridotta a siringa infetta per un utente medio lobotomizzato, quando vivi da tempo oramai in quel limbo in cui la televisione di Stato ti fa tristezza, quella privata ti fa incazzare, quella satellitare costa troppo, dal digitale terrestre hai deciso di non farti fregare nemmeno in partenza e il cinema viaggia a 7 euri a visione beh, quando insomma te ne stai in quella situazione ti può capitare di dare altalenanti sguardi ai palinsesti televisivi, nei momenti distratti del tuo restartene in casa.
Il cosiddetto zapping.
Ma lo zapping ti fa riflettere, ed estendi la visione occasionale al sistema tutto.
Così, in questa settimana segnata da quel lungo e patologico tormento che è diventato ormai Sanremolandia, non me la sento di affrontarle da solo, certe situazioni. Mi cerco alleati.
L’unico alleato che trovo, in questa infausta settimana, è il mio gatto, Fulvia.
Fulvia è un gatto maschio, si chiama così perché da piccolo somigliava all’auto della Lancia, quel mitico Lancia Fulvia che ce l’avevano solo i nonni.
Fulvia preferirebbe di gran lunga andare in cucina a giocare coi tappi, te glieli tiri e lui li va a prendere con la bocca, tipo cane. Solo che non te li riporta. A sua volta Fulvia li nasconde e ti tocca cercarli te, se non li trovi lui ti sfotte. A volte non li trovi per interi giorni, l’ultimo l’ha ingoiato e ha fatto finta di niente, fingeva di averlo nascosto, l’infame.
«Niente tappi oggi», gli dico al Fulvia incastrandomelo tra le gambe sul divano, «oggi niente gioco dei tappi, che l’ultimo quasi ti strozzi. Oggi tv!».
Non è che l’abbia presa proprio bene, il Fulvia, però ci sta, si accoccola, sguardo un po’ scettico.
«Lo so, lo so», gli dico, «c’è mica del gran bello da vedere di solito, ma vedrai che questa settimana c’è del bello, tentiamo dai, vedrai che c’è dell’interessante stavolta, c’è anche Sanremo, vedrai che ci divertiamo, c’è Bonolis, ci si diverte con Bonolis!».
«Bonolis?», fa lui. «Cos’è, un tranquilante? Maoh…».
E allora la maratona parte, l’ascensore verso l’inferno mediatico inghiotte me e il Fulvia come due clienti di un hotel a una sola stella.
«Fai te vah», mi fa il gatto Fulvia passandomi il telecomando, «che io con le unghie e i cuscinetti sotto le zampe schiaccio male i tasti, miaoh!».
E ci accoglie subito a Verissimo la coppia del nuovo millennio, i due signori totali del nuovo corso, i figli dell’olimpo Mediaset, i due Apollo lampadati, il prode Costantino e il fido Daniele.
«Maoh! Chi sono ’sti due marcioni?», mi chiede il Fulvia con le zampette sotto il mento.
«Eh», faccio io, «questi son forti, sono due fighi questi qui, le bambine dai dodici ai sedici impazziscono per loro, vedi che bella che è la televisione? Vedi che miti che crea dal nulla? Trasforma il pattume in alimento, altro che la Pietra Filosofale!».
E Costantino e Daniele, con al fianco due belle more che interpretano la parte delle loro ragazze, utili per le foto di rito, parlano da divi di come sia bello, essere divi, dopo aver giocato al gioco delle coppie con la De Filippi, aver scritto un libro, aver interpretato un film, ora è proprio giunto il momento di aprire un ristorante, perché loro due no, loro non san cucinare nemmeno due uova strapazzate, e le loro due squinzie nemmeno, sia mai, però loro due lo sanno, ci tiene Daniele a spiegarlo ai telespettatori ignoranti, loro due lo sanno cosa vuole dire “mangiare bene”, loro due la “buona cucina” la apprezzano, che stiano tranquilli i telespettatori a casa. La mareggiata di bambine vestite da Lolita inneggia ai due marcantoni.
«Spero che al loro ristorante servano gli omogeneizzati, miaoh…», fa il Fulvia.
Giro veloce, sperando di trovare anche del brutto, in questa nuova televisione bellissima, e trovo Dribbling su Rai Due, dove una tizia tutto sorriso e tette e gambe stivalate e straccetti minimali cerca disperatamente di leggere i titoli di testa dei servizi della giornata e non riesce a pronunciare «Ibrahimović».
«Mangia la erre!», fa il Fulvia.
«Beh, tu mangi i croccantini», faccio io.
«Sì, ma questa qui non è proprio capace di parlare».
«Tu miagoli».
«Già, meow…».
Torno a Verissimo, c’è la Parodi che intervista Marina Berlusconi, ha ancora un bel fisico la Parodi, spalle larghe, efelidi ben calibrate su tutto il corpo, sembra un caffellatte, sguardo pulito, chiede alla Marinona quali siano le tre cose per cui vale la pena di vivere.
«Chi sono la zerbinona e la leonessa?», mi fa il gatto Fulvia sbadigliando.
«La leonessa è una delle donne più ricche d’Italia, la zerbinona è una sua dipendente».
Cambio di nuovo, prima di sentire la risposta, già la domanda di Cristina è così stupida che questa bellissima tv del nuovo millennio mi perde dei punti. Su Rai Uno c’è il Festival, il Prefestival, il Dopofestival, c’è Bonolis che è impeccabile, vestito bene, non sbaglia una frase, una macchina da televisione, uno di quelli che ha imparato a far pagare bene la sua professionalità, uno che secondo me la fine di Baudo non la fa, lui no, lui fa come Tomba, smetterà quando sta ancora vincendo, non fa la fine del povero Pippone.
«Perché? Meow…», mi fa il Fulvia incuriosito. «Che fine ha fatto il Pippone nazionale?».
«È tornato in tv e si fa limonare da tutti, soprattutto uomini, Fiorello, Del Noce… La Katia lo sapeva che lui preferiva gli uomini, è per questo che l’ha mollato secondo me».
Il Fulvia si riaccoccola pensieroso.
Intanto escono le due co-conduttrici, c’è la Clerici bionda e tracagnotta che sembra un bonbon rosa, tutta avvolta intorno al suo stesso seno, ha una studiata goffaggine e sta alle battute cattive, ruolo già visto a Sanremo. Poi c’è la spilungona, così giovane e bella e con un sorriso così aperto che vien voglia di mangiarla, quando apre la bocca dimostra i suoi tre anni d’età e l’attitudine alle passerelle.
Cambio fugace su Rai Tre, c’è Blob che riprende il TG4, quel monello di Emilio Fede che gli tocca avere dei dialoghi in studio con la Pedron.
«Porca miseria, poverino», commento.
«Perché poverino?», fa il Fulvia. «Mi sembra un bell’esemplare lei».
«Sì», chiudo io, «ex Miss Italia, gran calendario, ma è come sentir parlare un mucchietto di ghiaia. Mi pare che la parola oggi in tv non sia considerata molto».
Torno secco a Sanremolandia, le due co-conduttrici cantano, nel mio salotto c’è un’oca, gli vien la pelle d’oca pure a lei. Bonolis simula. Poi arriva Tyson, Bonolis lo intervista, Tyson ha tre vocaboli nel suo bagaglio e li usa tutti, la Olga Fernando traduce le massime del campione, ma c’è solo la Fernando in televisione? Lavora solo lei? Solo lei sa l’inglese? Poi Bonolis salta la corda come Rocky. Poi Tyson legge da qualche parte il ritornello di Volare che gli stan facendo cantare e lo interpreta a modo suo, facendo regredire di nuovo l’umanità allo stato neanderthaliano. Si parla di 300˙000 euri di prestazione. Li ho pagati anche io col canone, credo. Con quei soldi lì probabilmente a Sanremo ci tiravano dentro Battiato e Branduardi per un duetto da sturbo. Ci tiravano anche i Beatles & i Rolling Stones, compresi quelli defunti. Ma forse nell’insieme che si vuole propinare Tyson ha più senso, viva l’America. E il giorno dopo infatti arriva anche Will Smith. Viva l’America. America che intanto quasi quasi si tira giù dalle spese la Sgrena con qualche colpo d’arma da fuoco affrettato. Viva l’America. Per fortuna che l’ultima sera c’è Vasco, uno che una volta cantava Non Siamo Mica Gli Americani…. Spero che si faccia pagare bene anche lui.
«Chi è Vasco?», mi fa il Fulvia.
«Eh», faccio io, «Vasco è Vasco».
«Meeooh…».
E intanto mi becco i campioni assoluti della Canzone Italiana, gente che se non fa Sanremo non sa che fare. Mostri. Marcella Bella, Peppino di Capri, Cutugno. Da farne un mazzo e dargli fuoco. Il Califfo. I Matia Bazar che cantano con Sergio Muniz. Alexia! D’Alessio che si circonda dei ragazzi di Saranno Famosi Italia. DJ Francesco che insomma non vuol proprio saperne, di suicidarsi. Nicola Arigliano che dopo un’onesta e ricca carriera gli tocca dividere magari il camerino con Paolo Meneguzzi. «Posso sedermi sulla poltrona bianca?», chiede una volta eliminato il giovane Meneguzzi al Bonolis. «Volevo solo dire che anche se sono stato eliminato son contento perché ho promosso il mio disco, anzi, te ne regalo una copia!».
«C’era bisogno di sedersi sulla poltrona?», mi fa il Fulvia.
«Si vede di sì», faccio io.
E vince Renga, un Renga che non si capisce mai se canta dal vivo o in playback, con tutte le smorfie che fa. Sa recitare oggi, il Renga, è pulito ora, magro, capello bello, un figlio con Ambra, si è inserito, fan tutti così, come Pedrini con Elenoire, come Morgan con Asia, femmine che son chiavi per entrare nel sistema, grande meccanismo che si divora da sé, che inghiotte persone di talento e le distrugge. Oddio ecco, Pedrini e il talento magari, ecco…
«Maoh! Perché dici così?», mi fa il Fulvia a pancia in su per farsi coccolare.
«Perché i big sono un’altra cosa. La canzone italiana è altra. Sanremo la sta uccidendo, la canzone italiana, credi a me. È solo costume oramai».
E allora giro, e mi becco una fiction italiana, una delle tante. E come tutte fa ridere, con personaggi immobili, che parlano ansimando anche per chiedere l’ora, che ti voglion fan credere davvero che la vita sia quella, che davvero in una stazione di carabinieri ci puoi trovare la Canalis e la Marcuzzi.
E poi torno in Rai e becco Mara Venier che assiste impotente a un Giucas Casella sempre più regredito allo stato larvale, a un Galeazzi che perde pezzi di ciccia, a Cristiano Malgioglio! E così penso anche ai soldi del canone Rai, da cui vorrei poter togliere la quota che serve per pagare Blob, il programma di Fazio Che tempo che fa, Passepartout di Daverio e il programma di Paolini chiamato Album. Tutto il resto me lo farei rimborsare.
«Miaooh! Chi è Paolini?», fa il gatto Fulvia artigliandomi i bottoni.
«Eh», faccio io, «Paolini è Paolini!».
E vado su La 7 e mi becco i cinque gay trendy che ti ribaltano l’esistenza, che prima sei un buzzurro senza chance e invece poi ti saltano in casa loro e dopo il passaggio del “ciclone rosa” sei un figo di lusso. Che siccome la vittima non ha i soldi per vestirsi trendy loro lo portano in Via Montenapoleone e gli regalano i vestiti trendy e ricchi. Davvero “creativi”. Davvero “gay”. Come le bisticciate da pollaio tra Rocco e Solange e gli urletti di un Jonathan fatto solo di bocca e denti. Io i gay più veri che ricordo sono quelli del video Smalltown Boy dei Bronski Beat, gli ultimi credibili.
«Quello lì è di Cremona», dico mesto al Fulvia indicando Mattia tra i Fab 5.
«Maoh vah?», fa lui. «Ne ha fatta di strada».
E vado su un reality e becco un altro prodotto della De Filippi, quel Karim che fa uno spogliarello devastante e aggressivo a La fattoria che vien voglia di mandare a letto vecchi e bambini, ma poi pensi a Roberto Bolle che muove le gambe nella danza al Concerto di Capodanno e capisci che l’uomo è fatto anche per volare.
E allora giro su Telecolor, tanto per restare dalle mie parti. C’è un servizio su una famiglia di trenta cani curata con pazienza da due sorelle, che prima stavano a Bollate, poi a Palazzolo, ma poi li han sfrattati tutti, che ora non hanno una casa con un tetto, che i cuccioli si son beccati le nevicate e l’acqua sulle testoline, con addosso solo le vestine trapuntate rimediate. E alcuni son morti, che non ce l’han fatta a scampare agli stenti. E le due sorelle, da sole, non ce la fanno più. Non hanno i soldi per mantenere le bestioline.
Il Fulvia guarda triste, i suoi occhietti son lucidi, non parla.
«Che c’è?», gli chiedo carezzandolo.
«Miaoh…», fa lui, «in fondo son cani, lo so, dovrei restarmene indifferente. Ma questi qui magari meriterebbero per lo meno un aiutino», e mi guarda.
Sospiro. Poi spengo lo schermo, che ho visto abbastanza brutture.
«Dai», faccio al Fulvia alzandomi, «andiamo a giocare un po’. Solo due tiri di tappo in cucina e poi diamo uno squillo al numero che c’era in sovraimpressione, vediamo di spenderli bene i nostri pochi soldi, una volta tanto».
«Bravo umano», mi fa l’infame peloso, «certo che pagare quel Tyson un po’ meno, magari…».

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Andrea Cisi

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