Cinema Recensione Cinematografica

Appuntamento a Belleville

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Appuntamento a Belleville

Non sono un grande estimatore, né conoscitore, dei lungometraggi d’animazione europei, avendo sempre rivolto il mio interesse verso gli anime giapponesi, eppure avevo sentito parlare di Appuntamento a Belleville ed ero rimasto colpito dal forte impatto grafico: dai personaggi caricaturizzati, dal tratto deforme, dalla grandissima cura nel dettaglio, dai colori… Vedendo, tempo dopo, il film per intero, ho potuto apprezzare come tutto quanto si fonda in uno stile mai visto, di grande carica espressiva, dove l’animazione punta l’accento sul movimento, sulle espressioni, sia corporee sia del viso, tralasciando quasi del tutto i dialoghi.
Dimenticatevi quindi il classico cartone animato alla Disney, i protagonisti di Appuntamento a Belleville sono caricature strampalate della realtà, imperfette fisicamente, a volte grottesche, a volte pazze, a volte obese… Si muovono su uno sfondo cupo, anacronistico, dove la modernità irrompe deturpando l’ambiente e anche i sogni, modificando il modo di agire di persone e animali e, nel cartone di Sylvain Chomet, questa è vista soprattutto come una cosa inevitabile, alla quale non ci si può opporre, lasciando solo il ricordo e la nostalgia delle vecchie cose, dei vecchi paesaggi rurali, del modo di vivere semplice. È proprio in campagna, alla periferia di Parigi, lontano dal caos, che la storia comincia… Champion e sua nonna, Madame Souza, vivono in una piccola casa, semplice ma dignitosa, in compagnia del cane Bruno.
Madame Souza è preoccupata per il nipotino Champion, rimasto orfano, che sembra costantemente apatico e depresso. A nulla valgono i tentativi della nonnina di trovare qualcosa che ne cambi l’umore, finché non scopre la vera passione del piccolo: la bicicletta.
Una passione così grande che non rimane confinata agli anni dell’infanzia, ma che anzi continua con il passare del tempo, portando Champion ad allenarsi assiduamente sotto la direzione della nonna e a realizzare un grande sogno, partecipare al Tour de France.
Durante la salita al Mount Ventoux, una delle tappe più dure e faticose, Champion viene rapito da due loschi individui che, una volta a Marsiglia, lo caricano su un transatlantico e partono in una traversata oceanica. Dietro di loro Madame Souza e Bruno che, in pattino, seguono la nave fino alla sua destinazione… Al di là dell’oceano… La città di Belleville, una sconfinata metropoli che una Statua della Libertà obesa fa pensare a New York. Qua, grazie all’aiuto delle Triplettes des Belleville, star del music hall anni ’30, cercheranno di liberare Champion dalla mafia francese, che rapisce i corridori del Tour utilizzandoli in un fosco giro di scommesse clandestine.
Non mancano le apparizioni di storici personaggi del cinema e dello spettacolo, come il chitarrista Django Reinhardt e Fred Astaire, che viene ingoiato dalle proprie scarpe all’inizio del film…
La colonna sonora che accompagna il film è eccezionale, a cominciare dal tema principale, un motivo nello stile del jazz anni ’30. Viene cantata dalle Triplettes, tre bizzarre vecchiette che amano cibarsi di rane: la loro musica esce dagli elettrodomestici più comuni usati in casa, che suonano come veri e propri strumenti musicali.
Il lungometraggio è stato realizzato abbinando la tecnica tradizionale al moderno 3D e la sua realizzazione ha richiesto tre anni di lavoro, ottenendo grandissimi favori di pubblico, sia al Festival di Annecy (il più famoso per la categoria animazione) che a quello di Cannes.

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Roberto Badioni

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